Recensione Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

Copertina del libro "Il più grande uomo scimmia del pleistocene" di Roy Lewis.

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

Roy Lewis
Tra la metà e la fine del Pleistocene Edward, il capo di una piccola tribù di uomini scimmia fa una scoperta che cambierà le loro vite: il fuoco. Da quel momento, il progresso tecnologico e le idee all’avanguardia si faranno strada nella vita di tutti i giorni e apriranno frontiere inesplorate per la nostra giovane famiglia. La storia è narrata da Ernest, suo figlio, non sempre d’accordo con le visioni progressiste del padre.

Introduzione

Roy Lewis non è un autore molto conosciuto. È un giornalista inglese che nella sua vita ha dedicato spazio solo ad un unico, grande capolavoro: “Il più grande uomo scimmia del pleistocene”. Pubblicato a episodi per la prima volta nel 1960, sotto forma di sei storie, e poi successivamente come unico romanzo. Le edizioni in lingua originali hanno avuto titoli diversi: “Once Upon an Ice Age”, “What We Did to Father” e infine, il mio preferito “The Evolution Man – Or, How I Ate My Father”.

Recensione

Ho letto questo libro tutto d’un fiato. Scorrevolissimo, Lewis è riuscito a creare una critica sociale fortemente ironica e sarcastica, che fa riflettere ma soprattutto fa divertire. Questo è un romanzo scritto seguendo una narrazione anacronistica ben riuscita, che crea situazioni paradossali e dà spunti di riflessione profonda. Il messaggio principale del libro a mia opinione è molto importante: “fate che il vostro motto sia di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato” e “vivete come se l’intero futuro dell’umanità dipendesse dal vostro impegno”.
Sono molte le figure principali del racconto che possiamo ritrovare nella società moderna.
Il protagonista, Edward, è un padre di famiglia amorevole e giusto. Rappresenta la figura dello scienziato, dell’uomo visionario e idealista. Si distingue da tutti gli altri uomini scimmia del Pleistocene per la sua spiccata curiosità scientifica e la consapevolezza di essere un piccolo tassello che sta ponendo le basi della storia evolutiva verso l’homo sapiens sapiens. Ernest, il narratore dei fatti, è suo figlio e rappresenta la paura verso il progresso e l’avarizia umana. Lui si pone con un atteggiamento non costruttivo nei confronti delle scoperte scientifiche del padre e dell’evoluzione veloce di cui la sua tribù la fa da protagonista. Segue le scelte e le decisioni di Edward fino a che non inizia a temere per il futuro della sua famiglia e di se stesso. Non è per niente d’accordo con la volontà del padre di mettere a disposizione della specie il progresso tecnologico ottenuto con tanta fatica. Ciò che Edward considera fondamentale per l’evoluzione della specie, da Ernest è visto come uno spreco. Non ha senso infatti “donare gratuitamente” la possibilità di imporsi sul resto della razza e poterla comandare. Con questo personaggio Lewis vuole mettere in evidenza come l’egoismo del singolo e la ricerca del bene personale può danneggiare la corsa verso un bene comunitario superiore, che nel racconto è incarnato dall’evoluzione stessa della specie.
Altra figura ben definita nel racconto è quella di zio Vania, fratello di Edward e più anziano della tribù. Rappresenta l’avversione al progresso, anche se in lui vivono delle forti contraddizioni. Infatti, mentre rinnega pratiche per lui innaturali, come l’uso del fuoco o la cottura dei pasti, ne fa uso egli stesso. Molte scene e molti aneddoti raccontati, mostrano con ironia una forte critica ai modi di fare dell’uomo moderno, spesso ipocrita e opportunista, non così distante dall’uomo scimmia del Pleistocene meno evoluto.
Particolarmente interessante e significativo infine, è come il sessismo sia presente nella società attuale quanto in quella del Pleistocene. Questi uomini scimmia tendono a parlare delle loro donne come esseri meno evoluti rispetto all’uomo scimmia. Quando l’uomo scopre l’importanza del fuoco, la donna è interessata solo ad avere una “bella caverna in cui vivere” perché, d’altronde, “il posto della donna è la caverna”. Quando l’uomo si impegna nel fare nuove scoperte per velocizzare l’evoluzione della specie e si immerge in pensieri profondamente filosofici, la donna utilizza il nuovo linguaggio appreso per “parlare di frivolezze e sciocchezze”. Questo atteggiamento prescinde dalle altre capacità mostrate dalle nostre donne del Pleistocene. Non importa se sono donne capaci di fuggire più veloci dei coyote, mostrando una profonda conoscenza del territorio e capacità adattative impressionanti: sarà sempre vista come una figura meno evoluta rispetto l’uomo, il quale ha totali diritti sulla sua donna.
È impossibile non notare come questa figura sia vista in modo non troppo diverso dai giorni attuali, e questo dovrebbe far riflettere il lettore. Siamo davvero una razza evoluta?

Voto

5/5

Citazioni

Miei cari, fate che il vostro motto sia di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato, e di dare ai vostri figli condizioni di partenza un po’ migliori di quelle che avete avuto voi. Non contate sugli altri. Vivete come se l’intero futuro dell’umanità dipendesse dal vostro impegno; in fondo, potrebbe anche darsi!

Con tutto questo fuoco in giro, il senso morale dell’uomo rischia di scomparire, oscurato dalla potenza tecnologica.

Ci sentivamo invulnerabili: come se l’unione di due fragili e delicate metà avesse formato una creatura destinata a dominare, invincibile, la terra.

Ricordate: la natura non sta necessariamente dalla parte del più forte. La natura sta dalla parte della specie che sa far valere un vantaggio tecnologico sull’altra. Ossia noi… per il momento.

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2 Risposte a “Recensione Il più grande uomo scimmia del Pleistocene”

    1. È vero, Lewis riesce a rendere una storia ironica e divertente uno specchio della società in cui è doloroso guardare

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