Follia
Stella è la moglie di Max, uno psichiatra che da poco ha preso il posto di vicedirettore in un manicomio criminale. Qui incontra Edgar, condannato per l’omicidio della moglie, ma che con il tempo ha guadagnato la semilibertà che gli permette di lavorare alla serra del giardino di Stella. I due si innamorano e iniziano una relazione clandestina che li porterà alla distruzione.
Recensione di Follia
Non è facile condensare tutte le emozioni che Follia mi ha fatto provare in una recensione, ma posso garantire che questo libro è stupendo, di grande potenza.Sono molto interessanti e ben dettagliati i profili psicologici di ogni personaggio, ognuno studiato con cura e affascinante in modo diverso (personalmente ho reputato Peter il più intrigante).
L’aspetto interessante dell’intera storia è che viene narrata da Peter Cleave, psichiatra dello stesso manicomio criminale di Max. Peter riporta per iscritto le parole di Stella, le vicende viste dal suo punto di vista aggiungendo, di quando in quando, osservazioni personali. Questo rende Peter un protagonista della storia a tutti gli effetti.
Stella è una donna passionale, ma raffreddata da un matrimonio asettico. Conosce Edgar durante la ristrutturazione della serra presente nel suo giardino e si ritrova attratta in modo quasi animalesco da questo personaggio.
Edgar è un artista, prima di essere rinchiuso scolpiva vere e proprie opere. L’ultima che ha realizzato è stata l’omicidio di sua moglie.
Dopo averla uccisa e mutilato il cadavere, nonostante gli anni di cure passati nell’istituto, non prova rimorso. Anzi, sostiene fermamente che fosse stata lei a spingerlo a quell’atto violento, a causa dei suoi continui tradimenti con centinaia di uomini.
Nessuno sembra accorgersi della relazione tra i due finché Edgar, il mio Edgar (come precisa più volte la voce narrante), evade dall’istituto facendo perdere le sue tracce. La sofferenza di Stella diventerà palpabile e palese a tutti, ma è solo dopo una telefonata da parte dell’amante e il crescere dei sospetti su di lei che la donna prenderà una decisione estrema: lasciare il marito e il figlio Charlie e fuggire con il suo nuovo amore.
Da qui, la situazione inizia a precipitare e la follia si manifesta come ossessione morbosa, in modo cieco e irrazionale.
La cosa che si sospetta dalle prime pagine, fino poi ad averne una certezza, è che gli psichiatri stessi (il marito di Stella, Max e la voce narrante, Peter) sono vittima di quella follia che tanto cercano di analizzare e curare nei loro pazienti.
Da principio infatti è Max, con il suo essere freddo e distaccato, ossessionato dalle apparenze, a creare i presupposti per far sì che Stella cercasse calore da un altro uomo. Peter invece ha un’ossessione per i suoi pazienti. Un forte senso di possessione, tant’è che a fine romanzo, parlando di uno di questi afferma che il posto giusto sarebbe in casa sua tra i quadri e il mobilio raffinato. Mi ha stupito molto il fatto che paragonasse un paziente ad una collezione d’arte, mi è sembrato un messaggio molto forte.
La domanda più banale che sorge è: siamo sicuri che chi dovrebbe occuparsi dei folli, non siano loro stessi folli?
Lavorare così a stretto contatto con loro ti trascina inevitabilmente nell’abisso, o è la società là fuori che ti costringe a mettere in discussione tutto e rivalutare chi viene considerato malato?
Conclusioni
Follia è uno di quei libri di cui ho sentito spesso parlare, ma ho sempre esitato ad avvicinarmi. Adesso capisco il perché.McGrath è capace di assorbirti tra le pagine e farti dimenticare chi sei, lasciandoti davanti agli occhi solo la Follia che c’è in ognuno.
Da parte mia posso solo dire che dopo averlo finito di leggere sono stata qualche giorno a rifletterci, perché dentro di me sentivo ancora agitarsi tutta l’angoscia che avevo assorbito dai personaggi.
Consigliatissimo.
Voto
Citazioni
Ma scusa, provai a dirle, in cosa credi che consista il tradimento? Nell’andare a letto con qualcuno, o nella possibilità di distruggere, andandoci, la felicità di qualcun altro? Non è mai il fatto nudo e crudo, sono le conseguenze che avrebbe se si venisse a sapere: l’atto in sé è insignificante.
La verità, mi rispose [Stella], è che non ho scelto affatto.
Ho terminato la lettura di “Follia” un paio di giorni fa. Anch’io ho provato la tua sensazione di iniziale, probabilmente legata al fatto che la lettura ricalca l’andamento folle della storia che narra, partendo molto lenta fino a precipitare verso le ultime 50 pagine.
Concordo sulla tua riflessione: siamo sicuri che chi si occupa dei “folli” non sia altrettanto “folle”? La vicenda umana di Max e Peter ci insegna che conoscere accademicamente i meccanismi – anche quelli più tenebrosi – della mente umana non te ne rende immune, e pretendere di esserlo ti rende solo vittima di un’ideazione delirante di onnipotenza. Peter parla di “un perfetto esempio di controtransfert” ma l’ho interpretato come un tentativo di indorare la pillola ai suoi occhi.
Infine, io aggiungerei un secondo spunto di riflessione: quale tipo di narrazione siamo disposti ad accettare dei cosiddetti “folli”? Al termine della storia possiamo considerarli vittime? Se sì, di cosa? Probabilmente della stessa follia che non fa distinzione tra “paziente” e “medico”, con l’unica differenza che nel primo caso si rientra in azioni notoriamente sbagliate e considerate folli.
Pensiamoci un attimo: Edgar uccide la moglie e ne sfigura il cadavere, mentre Peter la vuole incasellare con forza tra le sue opere d’arte. Alla fine dei conti, entrambi vogliono annullare l’oggetto del proprio “amore”, assoggettarlo a sé. La differenza dove sta? Solo il primo ha agito da folle.
Bellissima riflessione. Il punto è esattamente questo, qual è il confine? Dove inizia la follia, ma soprattutto, chi è a definirla?