Recensione Cavie

Copertina di Cavie

Cavie

Chuck Palahniuk
Un annuncio sparso in tutta la città per 24 ore: “Ritiro per scrittori: abbandona la tua vita per tre mesi”.
Diciannove persone su un pulmino che si dirige in un vecchio teatro abbandonato e che saranno sigillate all’interno senza alcuna possibilità di avere contatti con il mondo esterno, neanche la luce del sole può raggiungerli. Sono garantiti solo cibo, servizi igienici e una stanza singola per ognuno, piccola ma decorosa.
Ventitré racconti che mostrano le peggiori ombre dell’essere umano e della società, ventitré storie che appartengono al passato, o forse solo alla fantasia?, dei nostri personaggi.
La storia sta nella storia, o è nella storia che sta la storia?

Introduzione

Cavie non è un libro per chi ha lo stomaco debole, non è un libro per perbenisti.
Per me questo è il quarto libro di Palahniuk, ero pronta al suo stile crudo e diretto, ma ancora una volta è riuscito a stupirmi per la forza sorprendente con la quale mi ha trascinato nell’abisso più profondo e buio dell’animo umano. Un viaggio brutale, che fa passare la voglia di mangiare, che ti atterra senza lasciarti riprendere fiato, colpo dopo colpo.
Sicuramente un libro per pochi, ma per chi riesce ad ascoltare Cavie è un libro potente.

Recensione

I diciassette aspiranti scrittori che accettano di partecipare al ritiro di tre mesi vengono tutti presentati con dei soprannomi identificativi: San Vuotabudella, Miss Starnuto, Lo Chef Assassino, Lady Barbona, Madre Natura, Miss America… gli unici due identificati con i loro reali nomi sono il Signor Whittier e la Signora Clark, i nostri carnefici. Perché ogni storia di successo ha bisogno di carnefici.
Il Signor Whittier è colui che ha organizzato il ritiro per scrittori nel teatro abbandonato, un luogo perfetto per mettere in scena il dramma della vita umana recitato dai diciassette scrittori in cerca della gloria e del successo che cambierà per sempre le loro vite.
Non è facile parlare di questo libro, ci sarebbe talmente tanto da dire che mi perdo tra le strade contorte che Palahniuk traccia.
La prima cosa che viene da dire, e che infatti molti hanno detto, è che Cavie è un moderno e più cupo Decameron. La somiglianza sta nel fatto che delle persone si raccontano delle storie, la differenza più grande, e credo sia anche la più significativa, è che nel Decameron i personaggi si rinchiudono in un posto sicuro (cosa che all’inizio viene fatta credere anche in Cavie) per proteggersi da una minaccia esterna; ma nel libro di Palahniuk i protagonisti si rinchiudono volontariamente in un posto abbandonato e decadente per fuggire da loro stessi, dal loro passato e dai loro peccati. Ognuno ha un buon motivo per sparire dalla società per un po’, ma questo non basta a cancellare le macchie dalla loro coscienza e ben presto viene fuori la parte oscura del loro animo.
Il teatro nel quale vengono rinchiusi sembra rispecchiare l’interiorità dei personaggi che lo popolano, ci sono macchie di sangue e muffa sulle tappezzerie, le statue sono mutilate, neanche la luce del sole riesce a penetrare, tutto ciò che hanno è una luce artificiale che piano piano si affievolisce.
Nonostante non manchi niente ai nostri personaggi (hanno cibo in abbondanza, bagni funzionanti, una lavatrice, stanze personali…) presto inizia un processo di auto-sabotazione che tutti portano avanti senza sapere che anche gli altri lo stanno facendo: distruggono il cibo, rompono le serrature delle porte, intasano i bagni, tagliano i fili della lavatrice, manomettono la caldaia… Si crea una realtà fittizia, recitata dai personaggi, che non ha niente a che vedere con la reale realtà. Non è più reale ciò che succede, ma ciò che i personaggi decidono di raccontare, proiettando la loro storia nel futuro in cui verranno intervistati e parteciperanno ai talk show come superstiti.
Tutto ciò che conta adesso è la fama, una gara a chi uscirà di lì con le mutilazioni peggiori per poter essere guardati con compassione da migliaia di persone su uno schermo televisivo. Non importa quanto il prezzo sia alto. Non importa chi sia realmente stato. Importa la storia che i sopravvissuti racconteranno. Importa l’obbiettivo che sta dietro l’obbiettivo che sta dietro l’obiettivo.
All’interno di questo collante nauseante e decadente ci sono le storie che vengono raccontate, storie di feroce critica alla società americana che Palahniuk non ci risparmia mai. Violenze gratuite, vittime che si trasformano in carnefici, piaceri perversi portati al limite, il raggiungimento della popolarità a tutti i costi, la spersonalizzazione dell’essere umano a favore degli oggetti inanimati, il perbenismo della gente comune…
La grandissima forza di Palahniuk, oltre che nelle idee, sta nello stile. La sua scrittura è asciutta, precisa, priva di fronzoli e abbellimenti; i fatti ci vengono gettati in faccia con crudezza. Uno stile semplice, ma caratterizzato da formule che si ripetono, come fosse un rintocco che batte il tempo, che scandisce il destino dei personaggi e che ci rammenta che anche noi siamo parte della storia, perché quella che leggiamo non è altro che la storia della società che abbiamo costruito e che adesso ci sta distruggendo.

Conclusioni

Cavie non è un libro per tutti, lo ribadisco.
In molti punti è disgustoso, spesso è richiesto uno stomaco forte e la capacità di guardare oltre all’immagine nuda e cruda che Palahniuk ci mostra. Se non si è pronti a leggere un messaggio estremamente critico e feroce tra righe sporche di sangue, questo libro non fa per voi. Se invece siete pronti a tenere la mente aperta o avete già avuto modo di accostarvi a Palahniuk questo libro vi piacerà tanto quanto è piaciuto a me.

Voto

4/5

Citazioni

L’aria sarà sempre troppo carica di qualcosa. Il vostro corpo sempre indolenzito o stanco. Vostro padre, sempre troppo ubriaco. Vostra moglie sempre troppo fredda. Avrete sempre una qualche scusa per non vivere la vostra vita.

Ecco cosa fanno gli esseri umani: trasformare gli oggetti in persone, le persone in oggetti.
[…]
Ecco cosa facciamo noi esseri umani: ci trasformiamo in oggetti. Trasformiamo gli oggetti in noi stessi.

Ci sono storie, direbbe il signor Whittier, che quando le racconti si consumano. Altre storie, invece, consumano te.

“Dovremmo perdonare Dio…”
Per averci fatto troppo bassi. Grassi. Poveri.
Dovremmo perdonare Dio per averci dato la calvizie.
La fibrosi cistica. La leucemia.
Dovremmo perdonarlo per la Sua indifferenza. Per averci
abbandonati:
Noi, il piccolo esperimento per l’ora di scienza che Dio ha fatto e dimenticato,
lasciandolo ammuffire.

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