
Settentrione
Il libro censurato
Settentrione è un romanzo autobiografico pubblicato la prima volta nel 1963, dell’italiano naturalizzato francese Louis Calaferte, che con un linguaggio crudo, sessuale e poetico racconta la sua vita da scrittore maledetto. Ritenuto troppo osceno per il palato francese degli anni ’60, verrà censurato per più di vent’anni, per essere ripubblicato nel 1984 dalla casa editrice: Éditions Denoël; in Italia verrà tradotto da Neri Pozza nel 2006, e di nuovo nel 2024 da WOM Edizioni, la magnifica edizione che abbiamo letto per questa recensione.
I demoni di Calaferte
Settentrione ci racconta la vita di Louis, un giovane scapestrato impiegato in fabbrica che, senza mai soldi in tasca, si aggira come un fantasma per le strade di Parigi in cerca di ispirazione per il suo libro.
In queste prime pagine veniamo catapultati nella testa dello scrittore, nella sua follia e nelle sue manie. Spesso volgari e sessisti, piene di sessualità repressa, i primi capitoli potrebbero infastidire il lettore più sensibile e annoiare chi non scova un motivo per continuare a leggere. Le prime pagine non raccontano una vera storia, nel senso classico del termine, ma raccontano la vita di un uomo: circoscrivono Louis ad un personaggio Bohémien, l’artista povero, sessuomane, pieno di turbe. Calaferte riesce a riversare tutte le sue idee più vili, conscio che prima o poi finiremo per odiare il personaggio che sta portando avanti, odiando di riflesso proprio Calaferte. Ma è questo lo scopo: il giudizio. Caleferte si confessa, come dice egli stesso nel retrocopertina. E non vuole espiazione dei suoi pensieri perversi e del suo essere rozzo e volgare. Vuole il nostro più duro giudizio. Un accenno di trama inizia ad intravedersi dopo i primi tre capitoli, dopo che Calaferte incontra Nora, una benestante signora olandese che intraprenderà un rapporto molto particolare con Louis. Il personaggio di Nora grida “metafora del capitalismo” da tutti i pori, è la classica signora arricchita grassa e opulenta che non ha mai conosciuto il duro lavoro.
Lo stile di Settentrione
Sicuramente la parte più interessante del romanzo di Calaferte è il modo in cui si racconta. Ogni parola è una lama affilata, pronta a colpire un nervo scoperto della psiche. Un testo denso e pieno di immagini evocative. Qualcosa di più simile a una lunga poesia, da rileggere e comprendere pian piano col tempo. Ed è il motivo per cui ho dovuto fare molte pause mentre leggevo. Alcune pagine vanno digerite, altrimenti si rischia di avere una stimolazione troppo forte e violenta, e tutto il libro inizia a sembrare un’accozzaglia di parole scritte a caso.
Settentrione è tante cose: il diario di un pervertito; le confessioni di un artista maledetto; un trattato sul vivere ai margini della società; il sermone di un prete scomunicato; ma più di tutto è un libro scritto maledettamente bene.
Con il Salotto Letterario abbiamo organizzato un GDL per la lettura, quindi ho avuto la possibilità di leggerlo con altre persone, che purtroppo non l’hanno trovato tanto interessante. D’altronde, per citare lo stesso Calaferte:
“Tous les livres ne sont pas pour tous les lecteurs indifféremment. Chacun doit trouver les siens. Les trouve-t-il, c’est l’harmonie.”
Cioè: “Non tutti i libri sono per tutti i lettori indifferentemente. Ognuno deve trovare il proprio. Quando lo trova, c’è l’armonia.”
Quindi: come leggere Settentrione?
Nel leggere Settentrione bisogna prestare attenzione: ad esempio mi è successo diverse volte di dover rileggere parti per capirle fino in fondo. Vi faccio un esempio:
Verso la fine, pagina 323, Calaferte scrive: “Qui è l’inferno verde”. Ero abbastanza confuso, mi sembrava abbastanza tirato a caso, anche perché l’unico inferno verde che conosco è “Green Hell”, il gioco di Creepy jar.
Pagine dopo, ecco un dettaglio essenziale. A quanto pare Calaferte stava scrivendo con inchiostro verde. Quindi il suo inferno verde è lì, in quelle pagine. Come dice egli stesso:
“Dopotutto, scrivere non è altro che ritenersi infelici.”
Ed è lo scopo del testo, secondo me: l’autoflagellazione continua di se stesso per colpa dei suoi più terribili pensieri. Delle manie più volgari, dei suoi demoni più forti. Per questo è sia un diario che un sermone. Egli cerca proprio il sacro, nel trash più sporco.
Voto