Confessioni di un artista di merda
Confessioni di un artista di merda è un romanzo psicologico di Philip K. Dick scritta nel 1959, l’unico romanzo di non fantascienza pubblicato quando Dick era ancora in vita. Dick riesce ad essere dissacrante e paranoico in qualsiasi storia, anche la più banale. Il protagonista di questo romanzo è Jack Isidore, che si autodefinisce un artista di merda. Jack è il classico disadattato, un po’ autistico, fissato con la scienza, ma che crede a molte teorie del complotto. Insomma, come mi immagino sia stato Dick nella sua giovinezza.
La storia
Ambientata nella California Americana degli anni ’50, la storia segue le vicende di Jack Isidore e della sorella Fay Hume, sposata con Charley Hume. Tutto sembra essere raccontato da Jack, anche se ogni capitolo alterna vari punti di vista, con anche parti in terza persona. Una scelta interessante, che spezza il flusso della storia, lo frastaglia. Vediamo le mille sfaccettature interiori dei vari personaggi, che crescono di spessore sotto le valutazioni degli altri.
È una storia di tradimenti, di famiglia che si sgretola, personaggi violenti, manipolatori, strani, al limite della pazzia diagnosticabile.
Non aspettatevi niente di normale dal pazzo Philip K. Dick. Il suo stile è sempre pregno di paranoia e sospetto. Le figure e i personaggi sembrano respirare aria più scura della nostra, vivere in un luogo più violento. O, forse, vedeva solo il mondo per com’era davvero.
Ma Dick non faceva fantascienza?
Sì, ma voleva pure diventare famoso. Questa idea lo attanagliò per tutta la vita. Era molto povero, e anche nel pieno della fama ebbe problemi di debiti. Pensava di dover avere di più, di essere nato per la grandezza (guardati adesso, Dick), una forma di mania classica in chi consuma amfetamine come fossero caramelle. Diceva che era pronto a metterci “venti o trenta anni per diventare uno scrittore famoso” e purtroppo credo pensasse che la fantascienza fosse troppo di nicchia per permetterglielo, così pubblicò molti romanzi che definiremmo “mainstream”. Sicuramente la fantascienza era il suo genere, il suo mode d’être. Se penso a Dick, immagino atmosfere soffocanti e androidi dalle sembianze umane che si mimetizzano tra noi. Non così lontano dalla California degli anni ’50, avrà pensato Dick.
A chi lo consiglio?
È un romanzo di Dick, basta questo di solito per venderlo. Ma non aspettatevi il classico Dick, per quello che possa significare. Perché è vero, non c’è fantascienza, ma Dick era un bravo scrittore, ed era fedele a se stesso. Quindi anche quando scrive cose “mainstream”, le classiche atmosfere sono sempre lì. È difficile da spiegare, ma tutto nel suo stile crea delle immagini fumose, perennemente noir. Non si può strappare l’essenziale da uno scrittore bravo, è una delle più grandi lezioni di scrittura che possiamo carpire da questo libro: lo stile trascende la storia. Il modo di raccontarla, le immagini che crea, fanno parte dell’anima del grande genio della scrittura che è stato e che per sempre sarà.