Burroughs e il pasto nudo

immagine di copertina de Il pasto nudo di Borroughts

Il pasto nudo

Borroughs

Antipasto Nudo

Il Pasto Nudo è un libro scritto dall’americano William S. Burroughs (1914-97) pubblicato per la prima volta nel 1959 dall’Olympia Press e nel 1962 in America in edizione rivisitata, la più comune. Consiglio comunque di cercare le edizioni rivisitate del 2001, ampliata con materiale censurato.
È il terzo libro dell’autore dopo Junkie (1953) e Queer (1985) e a differenza di alcune dicerie non fa parte della “the Nova Express Trilogy”, ed infatti l’autore smentisce l’uso della tecnica cut-up che ancora non conosceva mentre scriveva il Pasto Nudo.

Il libro ha una struttura altamente non-lineare ed è composto da varie storie, routines, come le chiama Burroughs, che sono vagamente connesse e possono essere lette in qualsiasi ordine. Tema ricorrente è l’abuso di sostanze stupefacenti le quali permeano il libro e lo avvolgono in una nube tossica. Il libro è principalmente narrato in terza persona da William Lee, pseudonimo di Burroughs. La cui vita è essenziale per dare un senso al completo delirio del Pasto nudo.

Questa è rivelazione e profezia di ciò che posso raccogliere senza fm sulla mia radio a galena del 1920 con antenna di sborra… Dolce lettore, nel flash dell’orgasmo vediamo Dio dal buco del culo.

Il Piatto principale di Burroughs

Burroughs è un personaggio incredibilmente complesso e i suoi libri non sono da meno. Eroinomane, uccide la moglie “inscenando Guglielmo tell” mentre è in Messico, riuscendo a scontare solo tredici giorni di prigione. Dopo questo evento traumatico è sempre più trascinato nel mondo della droga e della dipendenza.

Per fortuna conosce Allen Ginsberg e Jack Kerouac, i quali lo aiuteranno a catalizzare i suoi traumi nei primi due libri. Nel 1957 Burroughs fu trovato dai due amici a Tangeri sotto pesante effetto di droga, sommerso da fogli che lo scrittore non ricordava di aver mai scritto. Kerouac e Ginsberg lo aiutarono a ricomporre i vari frammenti per dare vita a quello che oggi chiamiamo il Pasto Nudo. Per questo i racconti di cui è composto il libro sono sconclusionati e deliranti, eppure celano una lucida descrizione dell’animo umano.

Queste descrizioni spesso sono così crude e penetranti che molti hanno dato a questo libro una eccezione quasi Horror. Quando lo si legge, però, ci si rende conto che non è l’intenzione di Burroughs e che le sue immagini vogliono suscitare le forti emozioni e sensazioni che lui stesso provava sotto effetto di stupefacenti. La particolare attenzione per l’atmosfera e le ambientazioni di ogni racconto sono uno dei piaceri per cui leggere questo libro. Il grado di immersione che riesce a ottenere è completo. Usando un linguaggio forbito con cui descrive situazioni sudice e brutali, ci risucchia in un universo parallelo e surreale di cui Burroughs ha il completo controllo, in cui è dio della sua visione ma soprattutto schiavo.

Veniamo condotti completamente nel suo subconscio, altro grande tema del libro, e ci lasciamo trasportare con fiducia in mezzo ai suoi traumi, le sue paure, i suoi amori e la sua sessualità. La forza di ogni frase è pesata, ogni parola evoca sensazioni e dipinge con forza un’immagine precisa nel nostro subconscio. Dipingere è accurato perché Burroughs è stato anche pittore e questo spicca nel modo in cui scrive. Ogni frase è una pennellata impregnata di colore che sporca la tela e, per la fine del paragrafo, l’immagine che si viene a formare è completa, piena di forme fumose e immagini violente come un grottesco e sensuale show noir.

Il surrealismo di Burroughs non è sempre piacevole, le immagini che crea mentre lo si legge ci possono far rabbrividire. La nausea che spesso provocano certe storie e la sconclusionatezza dei vari pezzi rendono questo capolavoro ostico a primo avviso. Il lettore che lo affronta come un libro classico
che ha un inizio e una fine, è condannato a restare completamente spiazzato. È un libro che va letto con l’intenzione di assaporare le frasi soffermandosi sulle immagini, anche se sgradevoli, per essere sommersi dalle emozioni e sensazioni che l’autore vuole convogliare. È un libro che ti lascia fare una passeggiata nel subconscio di un tossico e per godersela appieno bisogna cancellare il proprio io, ogni preconcetto, per essere riempiti dall’io di Burroughs. Capire cosa voglia dire il Pasto Nudo, cercare un senso a quello che si legge è un’impresa non da poco e paradossalmente un’impresa vana. Il Pasto Nudo è un libro unico, come del resto era Burroughs.

La potenza delle situazioni e della prosa spesso colpiscono alla bocca dello stomaco. Ci sono stati momenti in cui mi sentivo completamente perso nel libro, nauseato, non capivo assolutamente una ceppa ed era abbastanza frustrante andare avanti, per quanto fosse affascinante lo stile. Delle volte invece leggevo una frase e completamente a caso il libro mi diventava cristallino. Riuscivo a vedere l’intricata rete di connessioni delle varie storie che si influenzavano a vicenda e accadevano tutte nello stesso istante.

Che Burroughs ci volesse trasmettere un avvertimento. L’atmosfera si trasformava in quella di 1984 o quella del Mondo Nuovo. Ambientata in questo mondo paradossale ma così vicino al nostro che ne sembra una naturale conseguenza. Ed è forse da questa naturale conseguenza che Burroughs ci avverte. Le sue sensazioni sono quelle di un tossico che amplifica ogni percezione fino all’estremo, così che una persona strana diventa un alieno e uno stato autoritario diventa lo stato fascista anti-omosessuale di Annexia. Per cui la realtà trasformata del pasto nudo è comunque la nostra realtà e quello di Burroughs sembra un grido d’aiuto di una mente sensibile che trasforma e catalizza tutta la violenza e la sessualità repressa di una società perversa.

Questa è la triste realtà, Bill. Uno scrittore vive la triste realtà come ogni altro. L’unica differenza è che lui ne fa un rapporto. [dal film “Il pasto nudo”]

Dessert

Il Pasto Nudo è un libro cult, entrato a far parte dei libri più influenti del XX secolo che ha suggestionato artisti di tutto il mondo. È considerato il miglior libro di Burroughs ed è uno dei libri più d’impatto che abbia mai letto. È un libro che si digerisce con pazienza, che lascia sensazioni potenti, spesso nauseanti, che restano impresse per sempre. Un viaggio, un paura e delirio a Las Vegas, ma sci-fi e più violento, che non avendo inizio o fine diventa eterno, circolare. È una trascrizione precisa di qualcosa che esiste solo nel subconscio di Burroughs. Lui ci ha fatto l’onore di aprire il suo io e di regalarci un capolavoro senza tempo.

Voto

5/5

Estratto dal libro

Ti ho mai raccontato dell’uomo che insegnò al proprio buco del culo a parlare? Il suo
intero addome si muoveva su e giù, capisci, scoreggiando parole. Come nient’altro che avessi mai sentito.
Questa voce dal culo aveva una specie di frequenza intestinale. Ti colpiva laggiù come quando devi andare di corpo. Hai presente quando il buon vecchio colon ti dà di gomito, e senti quella specie di freddo dentro, e sai che tutto quello che puoi fare è correre a liberarti? Be’ questa voce ti beccava proprio laggiù, un gorgogliante, densosuono stagnante, un suono che potevi odorare.
Questo tizio lavorava in un luna park, capisci, e a prima vista sembrava una specie di innovativo spettacolo da ventriloquo. Anche divertente, all’inizio. Faceva un numero intitolato “Il buco migliore”, che era un portento, te lo assicuro. L’ho dimenticato quasi del tutto, ma era brillante. Cose tipo, “Sei ancora lì sotto, vecchio mio?” “No! Sono dovuto andare di corpo”.
Dopo un po’ il buco del culo cominciò a parlare per conto suo. Lui saliva sul palco senza aver preparato nulla, e il suo culo improvvisava e gli restituiva le battute ad ogni colpo.
Poi gli spuntarono delle specie di piccoli uncini incurvati, che raspavano come denti, e cominciò a mangiare. All’inizio lui pensò che fosse carino, e ci imbastì sopra un numero, ma il buco del culo si faceva strada mangiando attraverso i suoi pantaloni, e si metteva a parlare per strada, urlando che voleva parità di diritti. Si ubriacava, anche, e aveva certe sbornie tristi in cui frignava che nessuno lo amava, e che voleva essere baciato proprio come ogni altra bocca. Alla fine parlava sempre, giorno e notte, potevi sentire da isolati di distanza che lui gli gridava di stare zitto, e lo picchiava con il pugno, ci ficcava su le candele, ma non serviva a niente e il buco del culo ribatteva: ‘Sei tu che starai zitto, alla fine. Non io. Perché non abbiamo più bisogno di te, qui attorno. Posso parlare e mangiare e cacare‘.

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