Non ora, non qui. Il primo libro di Erri De Luca

Non ora, non qui

Introduzione

Non ora, non qui (Prima edizione 1989) è il primo romanzo di Erri De Luca. Più propriamente, è un antiromanzo – ovvero non rispetta i canoni tipici del romanzo – psicoanalitico – cioè, si concentra su un monologo interiore dell’autore che esorcizza un malessere con la scusa di scrivere un libro. Un po’ come Svevo fa con la coscienza di Zeno, per intenderci. In più ha una struttura circolare – è veramente un casino.
Oltre alle nude definizioni, “Non ora, Non qui” è un viaggio nell’infanzia di Erri De Luca, sono i suoi ricordi, le sue emozioni. La sua scrittura serve a lui per riattraversare quei ricordi intimi e importanti. È un racconto personale, vivo, ed è apprezzabile la sincerità e la candidezza con cui Erri De Luca riesce a esprimere se stesso.

La storia

Protagonista di “Non ora, Non qui”, è la malinconia. Una malinconia che definirei secca, senza lacrime. La realizzazione di una vita che sta per finire, ed è poetico che sia il suo primo libro. La vera vita di Erri De Luca inizia proprio dopo averlo scritto.
Più che una storia, “Non ora, non qui” è un viaggio. De Luca si racconta, senza filtri e senza censura, della sua vita da bambino e parte dell’adolescenza. È la storia di un bimbo timido, balbuziente, che trova una voce, rotta dal difetto di pronuncia, nella scrittura. Per dirlo nelle parole di De Luca:

Parlare è percorrere un filo, scrivere è invece possederlo, dipanarlo.

“Non ora, non qui”, è l’urlo che si sente ripetere chi si sente fuori luogo in ogni posto: Il pazzo e il sognatore, il visionario e chi sente la musica che gli altri mutano. De Luca riesce a scrivere di loro, di tutti i dimenticati, di chi si sente perso nel mondo e si sente ripetere ogni volta: “Non ora, non qui”.
De Luca non scrive bugie. Egli però, non scrive neanche verità; scrive ciò che prova, scrive la soggettività della sua anima senza commenti e giudizi affrettati. Veniamo sommersi dall’identità poetica di De Luca, rapiti dal nostro mondo per sentire il suo. Segno, questo, dei grandi scrittori.
In “Non ora, non qui”, De Luca si concentra sui piccoli gesti: sull’odore del caffè tostato della moka che risveglia i ricordi della casa, sulle urla di Napoli – chi c’è stato lo sa com’è – su Filomena, la bambinaia tuttofare di casa sua così gentile e delicata, sul mare e sui tuffi con gli amici scomparsi. E tutto questo, unita alla prosa poetica e evocativa ci lascia sospesi a mezz’aria, nel mondo liminale, illuminato dalla torcia dalla flebile luce, tenuta dalle ruvide mani di De Luca.
Sentite, perché leggere possono tutti, ma provate a sentire, questo passo:

… la pelle messa a sole e sale, peluria chiara e nera, spire di ricci, sandali, pizze, sonno.

Le emozioni

La voce di De Luca è ruvida, profonda. È un uomo la cui scrittura fa notare i calli sulle sue mani. La forza della sua voce è decisa, precisa, ci si rende conto che sa esattamente cosa vuole dire, e che se magari ogni tanto si perde in certi passaggi, è sempre una discesa controllata, mai capitombola.
Leggere “Non ora, non qui”, è stato come chiacchierare con un caro amico, cui vogliamo bene e che si racconta. Non si arriva da nessuna parte, non si scopre nulla di eccezionale. Eppure quando si chiude il libro, ci sentiremo più ricchi: ricchi di esperienze, ricchi di empatia, disposti a carezzare un amico che vogliamo bene, a dire a nostra madre che le vogliamo bene. Vogliamo fare del bene. Lo dice lo stesso De Luca:

Anche un rossore risparmiato ad un altro è parte delle nostre responsabilità.

Quindi sì, ci fa anche un po’ la morale, questo De Luca. Eppure lo perdoniamo, perché dopo le esperienze che abbiamo passato con lui nel libro, siamo completamente solidali.

A chi lo consiglio

Sempre un affare spinoso, in teoria un libro è per tutti. Ho notato che però non è così, per una questione di tempistiche, se un libro arriva troppo presto o troppo tardi nella nostra vita potrebbe succede di non apprezzarlo abbastanza. Ce lo roviniamo perché ci aspettiamo qualcosa date le nostre esperienze.
Ecco, De Luca è così, e se uno ci inciampa sopra e si aspetta una storia classica, ne viene deluso.
È un libro pacato, dai toni ruvidi ma dolci. La prosa di De Luca a volte somiglia a quell’antilingua di cui parlava Calvino, però è solo un doversi abituare al suo modo di scrivere e di presentare i concetti. Ad esempio:

Non ci piacevano i coetani che aspettavano sera sui muretti a darsi arie di maneggiare i primi soldi elargiti.

Ora: io elargiti non lo userei mai e in generale tutta la frase ha un che di costruito che mi ha fatto storcere il naso. Eppure nel contesto, dato il senso e il voler creare quel senso di liminale, riesco a perdonarlo.
Quindi, bisogna leggerlo con apertura, facendosi bagnare dal mare di emozioni che riesce a esprimere De Luca. Per me è stato il primo di libro di questo autore e, sicuramente, ne leggerò altri.

Voto

3/5

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